Il sottotenente Giorgio Albertazzi nel rastrellamento del Grappa

Giorgio Albertazzi, scomparso il 28 maggio 2016, non ha mai cercato giustificazioni per la sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana, anzi l’ha rivendicata come una scelta consapevole, “per stare dalla parte dei perdenti, fatta più per istinto anarchico che per convinzione”.

All’età di 23 anni il sottotenente Giorgio Albertazzi ricopre la carica di ufficiale della 3^ Compagnia del 63^ Battaglione della legione “M” Tagliamento e partecipa al rastrellamento del Grappa nella zona di Campo Solagna, Monte Oro e valle delle Foglie. L’azione si svolge tra il 20 e il 27 settembre 1944 e i legionari della 63^, secondo la relazione del tenente Pucci Giorgio, uccidono a più riprese: il 22, ammazzano 5 “banditi”, tra cui il comandante dell’Italia libera Archeson Vico Todesco, mentre il 24 vengono fucilati tre prigionieri inglesi. Nel corso dell’operazione la compagnia cattura anche 23 partigiani e libera due donne e un uomo. Il 27 settembre, svolto e con successo il compito che era stato loro assegnato, i legionari salgono sugli autocarri e rientrano in sede, a Staro, a nord di Recoaro.

La dinamica dei fatti, così come ricostruiti nella relazione di Pucci, comprova la presenza di Albertazzi che, in quanto ufficiale del 2^ Plotone Fucilieri, non poteva che essere sul campo per svolgere le funzioni attinenti il grado che ricopriva. E la 3^ Compagnia era stata appositamente trasferita dalla sede di Staro (VI) in quanto impegnata nell’operazione “Piave”, cioè nel rastrellamento che aveva lo scopo di annientare la presenza partigiana sul Grappa e terrorizzare le popolazioni che davano sostegno ai “ribelli”.
In interviste anche recenti Giorgio Albertazzi  – “Il Fatto quotidiano” 20 aprile 2015” – ha negato di aver partecipato a fucilazioni, ma in riferimento a questi fatti non può essere sminuito il ruolo consapevolmente svolto nella uccisione di partigiani e nella esecuzione di prigionieri.

Vi è poi un’altra vicenda che lo vede protagonista, accaduta qualche settimana prima, esattamente il 28 luglio 1944 a Sestino, in provincia di Pesaro. È ricostruita nella sentenza pronunciata il 28 agosto 1952 dal Tribunale Territoriale di Milano a carico del comandante della Legione Tagliamento colonnello Merico Zuccari e di 16 suoi dipendenti. Albertazzi non figura tra gli imputati (Amnistia? Insufficienza di prove? Altro?), anche se gli viene attribuita la fucilazione di un disertore.

In buona sostanza i legionari della 3^ Compagnia avevano arrestato alcuni sospetti, tra i quali c'era tale Manin Ferruccio, il quale era risultato essere un soldato disertore.

Il comandante Zuccari era arrivato in auto sul luogo dove si trovava la Compagnia - che aveva arrestato i sette - affermando che dovevano essere tutti fucilati. Il responsabile del reparto, che allora era il tenente Plinio Pesaresi, replicò che ne aveva già liberati sei perché risultati senza responsabilità, trattenendo il settimo appunto perché disertore.

Zuccari si infuriò, ordinando all’ufficiale di fucilare il prigioniero rimasto. Pesaresi però rimase risoluto nel suo proposito, affermando che il Manin, in quanto soldato disertore, doveva essere consegnato al reparto di appartenenza e giudicato da un Tribunale Militare.

A quel punto Zuccari si rivolse al sottotenente Giorgio Albertazzi, che era presente alla discussione, ordinando a lui di fucilare il disgraziato.

Albertazzi eseguì.

La vicenda fu ricostruita dai giudici sulla base di varie testimonianze, tra cui quelle di un paio di legionari presenti quel giorno; quanto a Pesaresi se ne ignora la sorte, anche se dalle dichiarazioni riferite si può pensare che sia stato punito.

Poco dopo la 3^ Compagnia, stavolta agli ordini del tenente Pucci, fu trasferita in provincia di Vicenza e, assieme ad Albertazzi, venne impiegata nel rastrellamento del Grappa.

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