UNA RILETTURA DE “IL NOSTRO SOLDATO” DI AGOSTINO GEMELLI

 «Gli automatismi indotti dal tedio di una vita ripetitiva, diretta da altri, povera di stimoli e di orizzonti come la vita di trincea, appaiono quindi rassicuranti, invece che preoccupanti. Da questo punto di vista, il contadino-soldato è un soggetto ideale: quanto più sono ristrette la sua cultura e la sua mentalità, tanto più egli appare idoneo a reggere senza soffrirne troppo l’ottundimento di coscienza e l’apatia crescenti che inevitabilmente produce lo stare fermi in trincea aspettando ordini da qualcuno – non si sa quando e non si sa per fare che cosa.» 1

Questo è stato il mio primo impatto con l’analisi del frate psicologo Agostino Gemelli sulle qualità del soldato ideale, filtrata dall’interpretazione dello storico Mario Isnenghi. Da rimanere esterrefatti!

Ma come, al fuciliere di fanteria sul campo di battaglia sono richieste prestazioni psico-fisiche estreme: esaminare velocemente il terreno in avanti e i punti di copertura, scoprire i centri di fuoco avversari, muoversi con la massima agilità negli “sbalzi”, coordinarsi nell’assieme di squadra-plotone e mantenere il massimo controllo del fucile che tiene con il caricatore inserito e colpo in canna 2 , considerando poi la richiesta abilità nel maneggio e nel lancio di bombe a mano.

Tutto questo poteva essere messo in atto da un uomo inebetito nella coscienza e intorpidito nel fisico?

Come poteva, nel caos del combattimento, attendere impossibili ordini di dettaglio dal suo diretto ufficiale superiore?

Nel tempo si è affermato il “modello Gemelli” di un soldato ideale obnubilato, incapace di pensiero proprio e totalmente dipendente dal comando del primo ufficiale di contatto (comandante di plotone o compagnia).

E che avrebbe potuto o dovuto fare nei tempi trascorsi in trincea oltre alla corvée per la manutenzione delle protezioni, allo stare di vedetta alle feritoie o nei piccoli posti avanzati (per l’osservazione e l’ascolto), a pulire il fucile, a uscire di pattuglia se comandato e a prendersi cura di sé per quanto possibile?

Quali altre iniziative gli sarebbero state permesse al di fuori degli ordini ricevuti? Nessuna!

Senza contare il diffuso atteggiamento di autodifesa posto in atto dai soldati: non fare niente di più di quanto comandato. Or sono trascorsi cinquant’anni da quando un reduce della Grande Guerra, saputo che sarei partito per il servizio militare in fanteria mi affidò un suo consiglio, con grande convinzione e suggestione: «Ti raccomando di non fare mai niente di testa tua, non prendere mai iniziative ed esegui strettamente quanto ti viene ordinato, nulla di più. È così che ho salvato la pelle, mentre chi aveva la testa calda è morto» .

Ma Gemelli ha veramente elaborato e sostenuto questo modello ideale di soldato attribuitogli come suo?

Io penso di no.

Agostino Gemelli è un personaggio complicato: è un religioso francescano, è un patriota, dal punto vista socio-politico è un classista, ma è, professionalmente, medico e psicologo. Pur considerando che a volte queste sue posizioni tendono a sovrapporsi, quello che dobbiamo valutare sono i risultati delle sue ricerche compiute in qualità di uomo di scienza.

L’ufficiale medico Gemelli, consulente dello Stato maggiore, si occupa del soldato in linea indagando il suo stato psicologico e, per questo, utilizza anche i cappellani militari ai quali distribuisce questionari. Certo, alla luce della modernità di oggi, i metodi seguiti sono tutt’altro che scientifici, ma siamo all’inizio del Novecento quando non esistevano né avanzate tecniche statistiche né possibilità di condurre studi strutturati sulla qualità di vita della popolazione 3 .

Il nostro Soldato. Saggi di psicologia militare di Agostino Gemelli, pubblicato nel 1917 – si ritiene dopo il 30 settembre, data di prefazione dell’opera a cura del barnabita Giovanni Semeria – è da considerare la summa degli studi compiuti dall’ufficiale medico. Vi possiamo leggere che «La vita in trincea, ad eccezione dei periodi di azione difensiva (i bombardamenti) od offensiva (gli attacchi), è così monotona e scolorita che determina un caratteristico fenomeno, una specie di restringimento del campo della coscienza, un impoverimento del bagaglio individuale d’immagini, fenomeno che ha molta importanza, in quanto, come vedremo poi, permette che la parola dell’ufficiale possa esercitare sul soldato un’efficace suggestione.» 4

Questa analisi viene ulteriormente ribadita «[…] il soldato, come più volte ho accennato, specie per causa della vita uniforme di trincea, presenta una inerzia mentale, una passività fisica per la quale cerca di compiere il proprio dovere con il minimo sforzo possibile.» 5

Gemelli si rende conto che il soldato per essere efficiente nel momento dell’assalto «[…] deve in primo luogo sentirsi nella pienezza delle proprie energie. […] se una truppa, dopo un certo periodo di trincea nel quale ha subito gravi perdite e fu logorata e sottoposta a rudi prove, viene condotta a riposo, riesce […] a riprendere le forze fisiche.» 6 Ma questa è la condizione per il recupero fisico, mentre per il recupero psicologico ritiene necessaria la ripresa della vita in trincea perché «[…] una truppa trasportata direttamente dalle retrovie all’assalto, non può che fallire […] .» 7

Di queste analisi il Comando supremo si è reso sensibile infatti, come scrivono gli storici militari Cappellano e Di Martino, «[…] viene rilevato come la vita di trincea, pur indurendo il soldato, non lo prepari al momento dello scatto per la limitata possibilità di esercizio fisico e per gli effetti negativi di una routine in cui, per evitare perdite inutili, finisce col predominare un comportamento improntato alla prudenza.» 8

La soluzione viene dalla creazione dei reparti d’assalto “Arditi”, i quali, però, contrariamente alla convinzione di Gemelli sul ritorno in trincea, «[…] dovevano essere alloggiati in località delle retrovie […] non potevano essere impiegati in altre attività […] Per non logorarne la forza in compiti che non erano propri […] dovevano essere esclusi “in modo assoluto” dai turni di servizio in trincea, […] .» 9

Il colonnello Giuseppe Bassi, il primo addestratore degli Arditi, progetta esercitazioni nel corso delle quali gli assaltatori «[…] dovevano ripetere molte volte ogni gesto e ogni fase dell’assalto fino all’acquisizione di una serie di automatismi, […] .» 10

È questa anche l’idea di Gemelli, «La disciplina militare, l’esercizio militare hanno lo scopo di sostituire qualche cosa di automatico, di riflesso, di meccanico, all’esercizio della volontà.» 11 L’addestramento degli arditi non era però applicabile all’intera massa della fanteria, basti pensare al consumo delle risorse necessarie (anche in termini di munizionamento a perdere) che potevano rendersi disponibili per i soli reparti autonomi costituenti la punta dell’attacco.

Il capitano di sanità Gemelli è un attento osservatore dei comportamenti in situazioni estreme: «Lo stesso uomo può quindi essere eroico o pauroso nella medesima giornata, secondo i casi.» 12 e «[…] coloro che hanno compiuto atti eroici non sono per nulla tempre eccezionali. Essi sono soldati come gli altri, soldati che si sono trovati in particolari circostanze per le quali hanno dovuto compiere una data azione, […] Non sono rari […] gli esempi di soldati decorati per atti eroici che hanno poi compiuto atti di grande viltà.» 13 Su questa stessa posizione sono ora gli psicologi sociali “situazionisti”, come scrive Bocchiaro riportando il pensiero di Zimbardo «[…] le persone che diventano perpetratori di cattive azioni sono direttamente comparabili a quelle che diventano perpetratori di azioni eroiche, in quanto sono soltanto persone comuni, nella media. La banalità del male ha molto in comune con la banalità dell’eroismo. […] Entrambe le condizioni emergono in particolari situazioni, in particolari circostanze, quando le forze situazionali svolgono un ruolo determinante nell’indurre singoli individui a varcare la frontiera decisionale fra inerzia e azione.» 14

Sull’illusoria solidarietà fra uomini coinvolti nei combattimenti sulla linea del fuoco Gemelli è categorico: «[…] riferendo [i soldati] della loro vita durante l’assalto, dicono di frequente:Non si pensa più a nulla, né alla famiglia, né ai compagni”. Anzi si verifica un fatto curioso. Non solo non nasce la pietà per gli altri, ma la ferita dei compagni, “degli altri”, anziché provocare dolore, sembra radicare sempre più quella persuasione […] che la ferita di un altro è la diminuzione di possibilità per sé di essere colpiti.» 15

Quello che in padre Agostino Gemelli lascia perplessi è l’assenza di un’approfondita indagine sulle conseguenze psicologiche dell’azione di uccidere viso a viso, come se a ciò il soldato di fanteria fosse obbligato dalla sola «[…] necessità d’uccidere per non essere uccisi […]» 16 . Un modo frettoloso per svicolare dalla responsabilità di medico-psicologo e dalla condizione di francescano. Così ha scelto di non indagare sull’atto di dare la morte a un altro uomo, atto che ha traumatizzato migliaia di reduci per tutta la vita.

Il nostro soldato. Saggi di psicologia militare è un libro comunque utile a chi desidera addentrarsi nei meccanismi mentali del singolo combattente in azione, il soggetto finale della massa di fanteria organizzata in corpi d’armata, divisioni, brigate, reggimenti e battaglioni.

Purtroppo la storia militare e le relazioni ufficiali, che ne costituiscono la fonte primaria, si fermano a un livello superiore, fornendo una visione dall’alto che non consente di osservare i singoli soldati, uomini in carne e ossa con la psiche turbata da paura, angoscia, terrore e, in molti casi, da sensi di colpa, tanto da non voler mai raccontare in vita il loro passato di guerra.

30 settembre 2017

Giancarlo De Santi

Elaborazione del pdf a cura di Sergio Zannol

Bibliografia

Piero Bocchiaro, Psicologia del male , Laterza, Bari 2010.

Filippo Cappellano, Basilio Di Martino, Un esercito forgiato nelle trincee. L’evoluzione tattica dell’esercito italiano nella Grande Guerra , Gaspari editore, Udine 2008.

Salvatore Farina, Le truppe d’assalto italiane , F.N.A.I. 1938 (nuova edizione, Milano 2017).

Mimmo Franzinelli, Padre Gemelli per la guerra , Edizioni La Fiaccola, Ragusa 1989.

Mario Isnenghi, La Grande Guerra , Giunti Casterman, Firenze 1997.

Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, La Grande Guerra 1914-1918 , Il Mulino, Bologna 2008.

Mario Isnenghi, Il mito della Grande Guerra , Il Mulino, Bologna 2014.

Giorgio Rochat, Gli arditi della Grande Guerra. Origini, battaglie e miti , Libreria editrice goriziana, Gorizia 2006.

 

1 Citato in Mario Isnenghi, La Grande Guerra, Giunti Casterman, Firenze 1997, p. 57.

2 L’inserimento della lastrina-caricatore nel serbatoio del fucile italiano mod. 91 e la chiusura dell’otturatore hanno per conseguenza l’introduzione della prima munizione nella camera di scoppio e l’armamento del cane: a questo punto per sparare è sufficiente premere il grilletto. Non è consigliabile attivare la sicura perché troppo discosta dall’impugnatura ed è preferibile, per se stessi, tenere l’indice della mano destra nella posizione di sfioramento del ponte del grilletto. Tutto ciò comporta un significativo rischio di ferimento tra compagni e, per questo, venivano eseguiti continui addestramenti che, pur tendendo a far acquisire gli automatismi, non potevano prescindere dall’esigere dall’uomo soldato buoni riflessi mentali e coordinazione motoria.

3 In Italia l’ISTAT viene fondato nel 1926 e l’Istituto superiore di sanità nel 1934; queste istituzioni potranno finalmente realizzare indagini conoscitive sullo stato economico-sociale e sulla salute della popolazione del paese.

4 Agostino Gemelli, Il nostro Soldato. Saggi di psicologia militare, Fratelli Treves Editori, Milano 1917 (ristampa 1918), p. 49.

5 ibidem p. 178.

6 Ibidem p. 72.

7 Ibidem p. 71.

8 Filippo Cappellano, Basilio Di Martino, Un esercito forgiato nelle trincee. L’evoluzione tattica dell’esercito italiano nella Grande Guerra, Gaspari editore, Udine 2008, p. 132.

9 Ibidem p. 143.

10 Giorgio Rochat, Gli arditi della Grande Guerra. Origini, battaglie e miti, Libreria editrice goriziana, Gorizia 2006, p. 37.

11 Agostino Gemelli, Il nostro Soldato, cit., p. 261.

12 Ibidem p. 94.

13 Ibidem p. 99.

14 Philip Zimbardo, L’effetto Lucifero, Raffaello Cortina, Milano 2008, citato in Piero Bocchiaro, Psicologia del male, Laterza, Bari 2010; p. 126.

15 Agostino Gemelli, Il nostro Soldato, cit., p. 87.

16 Ibidem p. 248.

"Il nostro Soldato" (formato pdf-110MB)