Il commiato del presidente Amerigo Manesso

Quando una persona è memoria vivente di eventi storici che ancora segnano il nostro modo di pensare e interrogarci sulla Resistenza, si vorrebbe incontrarla tutti i giorni e fare in modo che il suo raccontare non abbia mai a finire. Perché Mario non conservava ricordi di Primo Visentin, ma ne riviveva l’amicizia e la complicità e ogni sua narrazione non era mai la ripetizione di un già detto, ma il fluire di un’esperienza che non si era mai interrotta.

Dell’amico, di Primo, Mario conservava le carte, quelle intime, dell’uomo che amava l’arte, il lavoro di insegnante, la fidanzata, che sognava un futuro non solo per sé e che nel perseguirlo, nel momento storico in cui si era trovato a vivere, ha pagato con la vita il tentativo di costruire dal basso una nuova rappresentanza per la classe popolare a cui apparteneva.

Mario affermava di sentirsi come il fratello minore di Primo e tra fratelli non è possibile distinguere quello che si riceve da quello che si dà: penso che Mario debba molto a Primo, ma che anche Primo si sentisse così perché amico di Mario.

Amerigo Manesso, presidente ISTRESCO