Discorso di Amerigo Manesso

 25 aprile 2022 CASTELFRANCO VENETO

Il presente, con la sua drammaticità, ci porta a ripensare gli anni nei quali l’Italia, assieme a tutta l’Europa ha lottato per liberarsi dai nazisti, dai governi fantoccio come quello di Petain o di Salò e dal fascismo. Gli stati europei aggrediti da Hitler, a partire dalla Polonia nel 1939, hanno pagato un prezzo altissimo per riconquistare la libertà e hanno combattuto lunghe guerre di resistenza che sono costate devastazioni e milioni di morti specie tra la popolazione civile. In alcuni casi, i movimenti di liberazione hanno dato vita a stati democratici, come in Italia, in altri a regimi totalitari come quello di Josiph Broz Tito e dove i tedeschi non erano arrivati, rimasero al potere regimi autoritari come quello di Franco in Spagna o di Salazar in Portogallo.

Ogni resistenza ha avuto caratteri propri, ha seguito percorsi particolari, ha mostrato specificità che la rendono diversa dalle altre resistenze europee: tutte però erano accomunate dalla volontà di cacciare l’aggessore. Non dimentichiamo che anche noi siamo stati aggressori, che abbiamo portato morte e distruzione in Europa, che abbiamo deportato popolazione civile – ricordiamo la vicenda del campo di concentramento di Monigo – e che contro di noi hanno combattuto uomini e donne della provincia di Lubiana che avevamo occupato nel 1941.

Quando, dopo l’8 settembre 1943, ci siamo trovati con la guerra in casa, abbiamo vissuto uno dei periodi più drammatici della nostra storia recente: eravamo oppressi dai nazisti che ci volevano punire per il tradimento dell’armistizio ed eravamo lacerati dalla guerra civile tra italiani, tra camicie nere e partigiani. E lo schieramento partigiano mostrava contrasti e indubbie differenze ideologiche tra le componenti cattolica, socialista e comunista. Inoltre alcune bande, facendosi passare per formazioni partigiane, hanno commesso violenze e sopraffazioni, come dimostra la vicenda di Primo Visentin “Masaccio” ucciso il 29 aprile da chi stava per essere consegnato alla giustizia.

La complessità di quel momento storico è ben presente nella Castellana e ha lasciato tanti interrogativi e tante zone d’ombra. Qualcosa di particolare però avvenne in quei mesi della primavera 1945 e rappresenta una specie di anomalia: i soggetti del campo antinazista e antifascista, nonostante le forti diversità, arrivarono a un patto per la ricostruzione di Castelfranco, un patto pragmatico e perseguito poi con determinazione.

Vale la pena di ricordare anche solo alcuni dei nomi dei protagonisti della Resistenza e di quel patto per la ricostruzione: Primo Visentin Masaccio, i fratelli Domenico e Gino Sartor, Tina Anselmi, Guido Battocchio, Marcella Dallan e Carlo Magoga, Olga Bernardi, Sandro Pasqualetto, don Giuseppe Menegon, i fratelli Pasin e tutti coloro che ne hanno condiviso le scelte e gli ideali.

Quelle nominate sono persone diverse, con visioni diverse sulla condotta della lotta ai nazisti e ai fascisti; sono persone che coltivavano e rappresentavano aspettative diverse sulla società che sarebbe stata costruita una volta conclusa la guerra.

Che cosa le accomuna? Le accomuna il fatto che in forza della loro storia personale e delle scelte maturate, hanno deciso che era giunto il momento di organizzare la Resistenza attiva contro i nazisti e i repubblichini; hanno compreso che il loro futuro personale non poteva essere separato da quello degli italiani e che sia la loro libertà, sia la libertà della nazione dovevano essere conquistate. E invece di misurarsi e di scontrarsi tra di loro, hanno cercato e trovato un denominatore comune.

Il fatto di aver scelto la lotta, anche se condotta in forme diverse, ha posto questi protagonisti di fronte alla necessità di fare i conti con il ricorso alla violenza. Alcuni l’hanno praticata nelle forme della Resistenza armata, perché non vedevano altro modo di contrastare l’occupazione tedesca e le strategie della Repubblica di Salò; altri ne hanno fatto un uso più controllato, ma tutti l’hanno sperimentata.

In quei venti mesi, alla violenza messa in atto di proposito per mantenere un regime liberticida sul piano civile e che aveva portato l’Italia alla sconfitta nella guerra di aggressione voluta da Mussolini e dal Re, i resistenti hanno opposto l’uso delle armi e la guerriglia e non sono mancate situazioni nelle quali è stato fatto un uso improprio e immotivato della forza. Episodi che hanno contribuito ad alimentare memorie contrapposte nei confronti della Resistenza.

Ma è evidente che non si possono porre sullo stesso piano gli aggressori e gli aggrediti. E dato che è il presente che pone domande al passato, ritorna quanto mai attuale l’interrogativo del perché in Italia qualcuno voglia equiparare i saloini e i partigiani, gli oppressori e coloro che a quell’oppressione si sono ribellati.

La nostra Repubblica democratica non è l’esito di un percorso riformista senza traumi: nasce da una guerra cruenta nella quale chi ha combattuto contro regimi totalitari è arrivato a deporre volutamente le armi per dare vita a una società nella quale non si sarebbe mai più dovuto ricorrere alla forza cieca, ma a regole democratiche che hanno tutelato anche gli sconfitti.

E l’articolo 11 della Costituzione ripudia il ricorso alla guerra anche nelle controversie internazionali.

L’anomalia castellana rispecchia tutto ciò: le diversità hanno fatto un passo indietro per trovare una soluzione condivisa, praticando un metodo basato sul confronto dialettico, sul rispetto reciproco e sul riconoscimento del diritto di iniziativa politica a chi avesse accettato quelle regole. I leader della Resistenza infatti sono stati protagonisti della vita cittadina e delle trasformazioni sociali ed economiche del territorio nei decenni successivi. E Tina Anselmi è stata grande protagonista della politica italiana.

Possiamo anche non essere concordi nei giudizi sul loro operato: possiamo dividerci e contrapporci nelle valutazioni. Ma ciò non toglie che le donne e gli uomini che hanno costruito l’identità di Castelfranco Veneto negli anni cinquanta e sessanta, siano i protagonisti della Resistenza.

Ciò significa che il 25 aprile indica sì la conquista della libertà, ma soprattutto l’inizio di un cammino per attuarla: la democrazia non è uno status, una condizione acquisita una volta per tutte, ma un processo continuo che i cittadini, donne e uomini, devono gestire responsabilmente senza pensare che possa essere delegato ad altri. E questo è quanto mai attuale anche oggi.

Immanuel Kant, grande filosofo prussiano (1724-1804) nel saggio Per la pace perpetua del 1795 afferma che la costruzione di una pace tra le nazioni è possibile solo se si lavora per una confederazione di stati liberi ognuno dei quali sia fondato su una costituzione repubblicana.

Possiamo ritenere questa affermazione un’utopia irrealizzabile figlia del pensiero illuminista, quotidianamente smentita da ciò che accade attorno a noi.

Ma esiste una alternativa accettabile alla convivenza civile tra uomini liberi e uguali fondata sulla razionalità?

Non è questa la strada che la Resistenza ci sta consentendo di percorrere oggi e alla quale non siamo disposti a rinunciare?

Oggi, 25 aprile 2022, la democrazia ha bisogno del contributo di ciascuno di noi: la pace che tutti vogliamo, si costruisce solo allargando ogni giorno e in ogni ambito gli spazi della democrazia.

Afferma Liliana Segre: “Ho paura della perdita della democrazia, perché io so cos’è la non democrazia. La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi”.

Buon 25 aprile a tutti!